Meteorologia Alpina e misure in alta montagna, cosa sono e a che cosa servono
L’ambiente montano è caratterizzato da un paesaggio a volte aspro, con valli strette, vette aguzze e altipiani. Le masse d’aria incontrando una catena montuosa si possono comportare in modi molto differenti a seconda sia della forma del rilievo, della sua altitudine, ed estensione, che dello stato termodinamico della massa d’aria stessa e quindi della sua stabilità.
L’ambiente alpino è ricco di sfide per la ricerca scientifica. Da più di due secoli le alte e isolate lande sono studiate da biologi, geologi, sociologi, naturalisti, geografi, glaciologi, meteorologi e climatologi. Molti studi sono ad oggi documentati in una vasta letteratura scientifica, come anche da numerosi articoli nelle riviste divulgative dei Club alpini.
Gli assidui frequentatori della montagna avranno avuto sicuramente modo di imbattersi in apparecchiature scientifiche e in strumenti collocati in luoghi ameni (che a volte sembrano un po’ messi lì a caso) per misurare chissà quali grandezze, e non sempre è ben chiaro a cosa servano. La divulgazione a tutta la popolazione è a volte molto poco seguita dai ricercatori, ma allo stesso tempo importante per non far sembrare inutile la ricerca scientifica stessa, e giustificare l’occupazione delle terre alte..
In questo articolo si vogliono spiegare alcune basi della meteorologia alpina, filone di ricerca del progetto MetAlp, e delle misure meteorologiche in alta quota.
Elementi di meteorologia alpina
In questo contesto dare una descrizione esaustiva di che cosa sia e di come funzioni l’atmosfera in aree di montagna è forse un po’ al di là di quello che si vuole proporre in questo articolo, in ogni caso però, nella parte finale sono riportati alcuni articoli scientifici e libri di testo (la maggior parte in inglese) che posso essere un utile approfondimento.
Ciò che governa in gran parte la meteorologia alpina sono gli spostamenti delle masse d’aria, e la loro interazione con l’orografia sottostante. Questi processi di scambio di energia e massa sono molto interessanti per poter comprendere a fondo lo strato limite (la parte più bassa dell’atmosfera) in terreno montuoso (Lehner e Rotach, 2018; Serafin et al. 2018).
1.1 Masse d'aria che interagiscono con le montagne
Iniziamo quindi dalla definizione di massa d’aria:
“Una massa d’aria è un volume di troposfera con temperatura ed umidità simili.”
Le masse d’aria si spostano guidate dai venti a scala sinottica e interagiscono tra di loro nelle zone “attive” dette fronti. Le zone frontali è dove si sviluppano la maggior parte dei fenomeni meteorologici, in quanto masse d’aria di natura diversa entrano in contatto tra loro.
Altre zone attive possono essere generate in seguito all’interazione della massa d’aria con una catena montuosa, che ne sbarra il passaggio e costringe la massa d’aria a cambiare il suo stato di equilibrio, salendo a quote maggiori (l’aria si raffredda e si espande, può condensare il vapore acqueo), aggirando la catena montuosa e creando una bassa pressione a valle (lee side cyclogenesis).
Nel caso in cui la massa d’aria sia invece costretta a scavalcare la montagna possono verificarsi diversi fenomeni: sbarramento (sul versante sopravento) e favonio (sul versante sottovento), o incanalamento dell’aria lungo le valli. Non sempre questi due fenomeni sono osservati insieme, a volte ci sono solo separatamente, inoltre il termine “favonio” è tipico dell’area alpina, un vento simile (con le stesse caratteristiche termodinamiche) è denominato Chinook nelle Rocky Mountains.
Queste interazioni a grande scala (o scala sinottica) si ripetono poi anche a scale più ridotte, come quelle delle singole aree montuose, o delle singole valli.
In questo contesto è quindi molto interessante studiare il regime dei venti in terreno montuoso, capendo essi è possibile avere più informazioni per descrivere lo strato limite in terreno montuoso, e tutti i processi di scambio che qui avvengono.
1.2 Il regime dei venti
In una valle il regime dei venti è generalmente determinato dalle variazioni di pressione dovute al diverso irraggiamento dei versanti, e al volume d’aria presente sulla pianura sottostante o alla testata della valle. La teoria dei thermally driven winds è solitamente valida in condizioni di cielo sereno e senza forzanti a livello sinottico. Come sempre la scienza prima descrive un fenomeno semplice, poi si possono aggiungere tutte le complicazioni che lo rendono reale e adatto a tutte le situazioni possibili.
La valle ha una sezione più piccola della vicina pianura, quindi durante il giorno questa porzione di aria si scalderà più velocemente, diventerà meno densa, e genererà una locale bassa pressione, che verrà compensata con un vento dovuto al gradiente di pressione proveniente dalla pianura (vento di valle). La sera invece, la porzione di aria si raffredderà più velocemente in montagna (magari anche coadiuvata da nevai o ghiacciai), generando una locale alta pressione sulla valle, mentre in pianura persisterà più a lungo l’aria poco densa e calda. Questo genererà un gradiente di pressione negativo, e diretto verso valle, e quindi un vento di monte.
A questa circolazione alla macroscala (pianura-montagna) si associano anche tutte le circolazioni alla microscala, ovverossia i venti di versante (slope winds). Essi si comportano nello stesso modo delle brezze di valle-monte, e anzi contribuiscono al vento lungo l’asse della valle.
1.3 Il bilancio energetico
Un altro aspetto molto interessate della meteorologia, ma soprattutto della micrometeorologia alpina è lo studio del bilancio energetico alla superficie. Il suolo in alta montagna cambia considerevolmente anche per piccoli spostamenti spaziali, e in molti casi uno spostamento orizzontale di poche centinaia di metri corrisponde ad un dislivello di altrettanto. Spostandosi a quote superiori la vegetazione cambia, il suolo cambia e diventa spesso caratterizzato da sole rocce e spesso è coperto da nevi perenni o ghiacciai. Su queste superfici il bilancio energetico è sensibilmente diverso.
Le componenti del bilancio energetico sono: la radiazione netta (RN), risultato della radiazione proveniente dal Sole, dall’atmosfera meno quella proveniente dalla superficie terrestre; il flusso di calore sensibile (H), ovvero il flusso di calore dovuto a una differenza di temperatura tra superficie e gli strati soprastanti di atmosfera, il flusso di calore latente (HL), ovvero quel calore legato all’evapotraspirazione delle piante, e il flusso di calore nel terreno (HG), ovvero quanto viene accumulato o rilasciato dal terreno. Idealmente la somma di questi tre flussi dovrebbe essere uguale alla radiazione netta, in pratica per errori di valutazione, misura, termini non locali l’uguaglianza non è mai sperimentalmente soddisfatta.
In terreno complesso di montagna le cose si complicano ulteriormente, per l’estrema variabilità e non omogeneità del suolo. Studi sperimentali approfonditi, con apparecchiature complesse e costose sono necessari, perché una corretta interpretazione (teorizzazione) delle componenti del bilancio energetico permettono di avere poi, ad esempio, modelli meteorologici più affidabili.
Come vedremo nella prossima sezione, le misure complesse nello strato limite montano sono oggetto di studio relativamente recente (circa dagli anni ’80 del secolo scorso) e stanno portando considerevoli frutti, sia dal punto di vista della comprensione dell’atmosfera in terreno complesso, sia dal punto di vista modellistico, con l’utilizzo di nuove equazioni, nuove parametrizzazioni che permettono di ottenere previsioni o analisi migliori dello stato dell’atmosfera.
Le osservazioni meteorologiche in alta montagna
La teoria, come abbiamo visto sopra in una veloce infarinatura, già spiega molti fenomeni che possono essere osservati in montagna, ma la scienza non ha ancora finito di scoprire la complessità della natura.
Le equazioni che descrivono la dinamica dell’atmosfera fino ai moti più piccoli, e quindi alla turbolenza, sono state scritte per terreni pianeggianti, orizzontali e omogenei, e la maggior parte delle osservazioni allora condotte era su quel tipo di terreno. Con l’avanzare della tecnologia, della potenza di calcolo dei modelli, e la precisione degli strumenti è stato possibile constatare che quelle assunzioni sono approssimate e a volte molto distanti dalla realtà in terreno montuoso. Si sono resi quindi indispensabili nuovi studi, e raccolte dati in terreni non “convenzionali”, come i versanti delle montagne, le valli e gli altipiani.
Per fornire le risposte alle domande degli scienziati, si è iniziato a raccogliere nuove serie di dati in terreni complessi, e diversi grandi progetti hanno iniziato a sviscerare l’argomento sulle Alpi a partire dalla fine degli anni 80 del secolo scorso.
Alcuni degli esperimenti più eminenti degli ultimi anni sono: ALPEX (1981-1982), PYREX (1990), MAP (1999), HyMex SOP1 (2012). A questi si affiancano svariati esperimenti meno estesi geograficamente, ma comunque molto rilevanti e che hanno prodotto risultati assai interessanti.
Il sito dell’Alpe Veglia, più in piccolo e con ambizioni più limitate vuole essere un punto di misura, di studio dello strato limite montano, e di test per modelli meteorologici ad alta risoluzione.
Le misure: suolo, strato superficiale, profili e sezioni
In terreno complesso oltre ad avere i classici dati meteorologici (temperatura, umidità, direzione e intensità del vento) è interessante misurare anche alcuni parametri nel suolo, come temperatura, umidità, conducibilità elettrica e permittività, che permettono di caratterizzare con più precisione il tipo di terreno, e di constatare se, ad esempio un modello meteorologico è in grado di prevedere con precisione l’andamento di queste variabili a profondità diverse. Inoltre è interessante conoscere i termini del bilancio energetico alla superficie, quindi il flusso di calore nel terreno, quello del calore sensibile e quello del calore latente, nonché il valore della radiazione netta. Per ottenere due termini di questo bilancio è necessario utilizzare almeno un livello del “palo meteorologico” con un anemometro sonico e un igrometro veloce. Ad essi è bene sempre affiancare misure più tradizionali come velocità e direzione del vento sul piano orizzontale, pressione atmosferica, precipitazioni liquide, temperatura e umidità. In alta montagna per i mesi invernali è molto interessante lo spessore del manto nevoso, che può cambiare sensibilmente i valori del bilancio energetico per via della sua capacità termica e del suo albedo (bianchezza).
Misure molto più complesse, e che richiedono strumenti assai più costosi, sono quelle tridimensionali e di profili verticali. Molto spesso esse non possono essere eseguite in alta montagna poiché richiedono un’energia non disponibile dove la rete elettrica non arriva. I profili di vento e temperatura possono essere eseguiti con lidar, rass, profilatori ad ultrasuoni (sodar) o con palloni sonda (che però non permettono una misura continuativa).
Alcuni trucchi che vengono utilizzati per ottenere lo stato tridimensionale dell’atmosfera, sono quelli di installare non una, ma molte stazioni, ad esempio all’interno di una valle. Si posizionano quindi stazioni complete di tutte le misure necessarie (come descritto sopra) in luoghi chiave: i versanti, il fondo valle, le creste delle montagne vicine; in seguito si processano i dati cercando di correlarli e di completare le zone d’ombra tra le stazioni. Un chiaro esempio di questo è il progetto iBox in corso nella Valle dell’Inn (Austria).
Riferimenti bibliografici e approfondimenti
Il tempo in montagna, manuale di meteorologia alpina
G. Kappenberger, J. Kerkmann (1997)
Mesoscale Meteorology in Midlatitudes
P. Markowski, Y. Richardson (2016)
Exchange processes in the Atmospheric Boundary Layer over Mountainous terrain, S. Serafin et al. (2018) Atmosphere 9,102, doi
Mountain meteorology, foundamentals and applications
C.D. Whiteman (2000)
Current challenges in understanding and predicting transport and exchange in the atmosphere over mountainous terrain, M. Lehner, M.W. Rotach (2018) Atmosphere 9, 276 doi
Introduction to micrometeorology, II ed.
S.Pal Arya (2001)
Mountain weather research and forecasting, F.K. Chow, S.F.J. De Wekker, B.J. Snyder editors, Capitolo 2, Zardi e Whiteman (2013)
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